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La letteratura è l'attico dei perdenti, nessuno mi toglierà mai dalla testa questa gigantesca verità. Non c'è capolavoro che non parli di caratteri incerti, di cuori indecisi, malati, ultrasensibili, di amori perduti o fallimenti sociali o tonfi interiori ai bordi della follia o male riversato negli animi da latitudini varie; guerre, partenze, sanatori, nostalgie, un cosmo di grandezza buia che solo le grandi meravigliose pagine letterarie sanno onorare davvero sovvertendo la vita e le sue corde molli, ma soprattutto rovesciando il male palese e sporco dei conflitti giornalieri, le irrisioni di un capo ufficio, gli snobismi di certe classi, i contrattempi del caso, l'addio di una donna, gli strepiti familiari, in definitiva le mille spinose incomprensioni e gli smacchi che tessono il romanzo di ogni tempo. Emmanuel Bove di questi caratteri ha parlato, li ha amati e li ha scavati come i tanti zigomi rotti del suo volto di dentro, la sua cruna impossibile da attraversare, il senno e l'inatteso. Questo libro è l'impronta del suo autore, stemma e trafittura della sua vita.
forse il capolavoro di Bove (insieme a I MIEI AMICI) con una protagonista femminile che non ha niente da invidiare alla Lolita di Nabokov.
..ecco un libro di emmanuel bove che non mi è piaciuto: merce rara..bove è stato davvero uno scrittore importantissimo nel panorama letterario francese ed europeo del '900, seppur le sue opere sono poco conosciute e considerate..
Recensioni
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scheda di Minsenti, P., L'Indice 1994, n. 7
Èliane, una sedicenne nevrotica e tirannica, un po' Lolita, un po' Angelo azzurro, alla ricerca di una protettiva figura paterna, ma soprattutto di una facile evasione dallo squallore piccolo-borghese, porta alla rovina un triste industriale di quarant'anni, rivelandogli il suo oscuro e inconsapevole istinto di sottomissione e il suo destino di perdente. Il segreto del successo postumo di Bove, diventato in Francia una sorta di 'cult writer', sta forse in una curiosa mescolanza di clichés letterari, dotati per il lettore odierno di un fascino nostalgicamente retrò, e di uno stile nitido e lineare, messo al servizio di una sofisticata operazione di stilizzazione narrativa attenta a fondere il dettaglio visivo e quello psicologico. La sua Parigi grigia e piovosa, i suoi bistrot impregnati di fumo, i sordidi interni piccolo-borghesi ricordano quelli di Simenon e dei film francesi anni trenta. Ma più che alle atmosfere cartoniche del realismo poetico prévertiano, le sue immagini in "bianco e nero", con i loro dettagli sottilmente inquietanti, fanno pensare ai film di Marcel L'Herbier. Oggetti che brillano in stanze buie, il bagliore dell'asfalto illuminato dai lampioni durante un pedinamento notturno, lampadine elettriche che pendono nude dal soffitto di camere disadorne, disegnano le sequenze di questo dramma dell'amore masochista, secondo una rigorosa geometria stilistica che aveva conquistato Rilke, Beckett e ora Peter Handke.
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