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Questo romanzo è ricco: in esso vi è storia, vi è poesia, letteratura e vi è una rosa ricchissima di personaggi, vi è la durezza del regime sovietico che si scontra con la delicatezza del sentimento dell'amore nascente nei petti di un gruppo di romantici diciottenni. Lo stile è scorrevole, il contenuto interessante e istruttivo. L’autore riesce sempre a insegnare qualcosa sulla storia russa.
Carino, un po' lungo e lento ma nel complesso non mi è dispiaciuto.
In questo volume, così come nell'altro romanzo, Sasenka, l'autore ha la caratteristica di iniziare in maniera superficiale e fastidiosa, insomma, da romanzo rosa; ma poi, mano a mano che la vicenda si dipana, il racconto si fa appassionante e coinvolgente, i personaggi acquistano vita, e anche i riferimenti storici diventano interessanti e fanno riflettere davvero.
Recensioni
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Mosca, giugno 1945. Nel giorno della parata della Vittoria per festeggiare la sconfitta della Germania nazista, due liceali muoiono sul Ponte di Pietra che unisce il Cremlino all’altra sponda del fiume Moscova: è lui che ha sparato a lei e poi si è ucciso o viceversa? I due giovani non erano ragazzi qualunque, erano figli di persone che facevano parte della cerchia più vicino a Stalin, frequentavano la Scuola 801, quella dell’élite moscovita, la stessa frequentata da Svetlana, la figlia di Stalin. Fu un avvenimento piuttosto misterioso, i servizi segreti indagarono, i compagni dei due ragazzi furono detenuti nella famigerata Lubjanka per estenuanti interrogatori e alla fine condannati ad una pena non eccessiva- un periodo di ‘esilio’ nell’Asia centrale.
Il soggetto dell’appassionante romanzo “L’amore ai tempi della neve” di Simon Montefiore non è nuovo. Ne avevamo letto un paio di anni fa ne “Il ponte di pietra” dello scrittore russo Aleksandr Terechov, ma l’approccio è diverso, l’omicidio-suicidio è un caso intrigante, il periodo storico quanto mai interessante - vale la pena di rileggere la storia dei due innamorati. La ricostruzione di Terechov, giornalista oltre che scrittore, era più storicamente accurata, il suo era un romanzo molto ‘russo’ con qualcosa della stravaganza di Bulgakov nel personaggio dei nostri tempi che indaga su quanto è accaduto servendosi della documentazione fornita dall’apertura degli archivi. Simon Montefiore ha romanzato la storia, ha cambiato i nomi, ha dipinto un vasto quadro dell’epoca - la vita nella scuola, nelle famiglie, sul fronte durante la guerra. Su tutti e su tutto, lo sguardo implacabile di Stalin che, per mostrare la sua equità, aveva strappato le mostrine al figlio (per poi riabilitarlo), che aveva spinto la seconda moglie al suicidio (Nadia aveva appena trentun anni, Stalin aveva pianto - in ritardo). Niente di strano, quindi, che alla Lubjanka fossero portati non solo gli amici diciottenni di Nikolaj e di Rosa, ma anche il fratello di uno di questi (dieci anni) e la sorellina di un altro, di appena sei anni. Perché il padre del decenne Senka era ministro del Controllo di Stato (aveva forse detto che c’era un difetto nella costruzione degli aerei che continuavano a cadere?) e quello della piccola Mariko era segretario del Comitato centrale (fu poi allontanato da Mosca): si voleva colpire i genitori attraverso i figli. In uno scenario politico così buio e terrificante, dove per evitare le microspie si va a parlare passeggiando nei giardini di Alessandro oppure si aprono i rubinetti in bagno perché il rumore dell’acqua copra le parole, dove si professa amore incondizionato per un leader d’acciaio che non può mai sbagliare e a cui si deve essere sempre e comunque grati perché ha sempre ragione, Montefiore sposta il fuoco del suo obiettivo sull’amore.
Un insegnante della scuola (ci ricorda quello del film “L’attimo fuggente” di Peter Weir) fa appassionare gli studenti alla poesia di Puškin, tanto che questi fondano un club segreto il cui credo è borghese e antisovietico, “vogliamo vivere nell’amore e nel romanticismo. Se non possiamo vivere nell’amore, siamo pronti a scegliere la morte. ”L’amore come essenza della vita per sopravvivere in un mondo dominato dalla “fredda macchina della Storia”, l’amore ad ogni età anche se destinato a finire - paradossalmente - nella morte (come quello dei due giovani) e nella deportazione (come la ragazza che spera le venga permesso di seguire in America il diplomatico di cui si è innamorata, o come la bella dottoressa ebrea madre di uno dei ragazzi coinvolti nel caso), l’amore dei genitori per i figli (strazianti le scene in carcere degli incontri della bimba Mariko con la mamma) e quello, sublime, del professore che offre la sua vita mentendo per salvare i ragazzi a cui ha fatto amare Puškin.
Nel romanzo di Simon Montefiore l’amore è l’unica realtà - come auspicavano i soci del Club dei Romantici - in un mondo allucinato in cui la stupidità, la grettezza e l’ignoranza trasformano un gioco fantastico da ragazzi in una congiura di Stato.
A cura di Wuz.it
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