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in fondo in fondo un buon libro, pesante forse, troppe metafore, troppi giri di parole per addivenire ad una conclusione chiara, l'uomo di oggi assomiglia tremendamente al Luca del romanzo, ad un disertore della vita, ad un uomo che fugge da tutte le responsabilità che la vita e l'amore gli mettono davanti, un vile questo Luca, che però a dir suo, ha un'attenuante, il dolore, il vuoto che il padre suicidandosi gli ha inferto.
Recensioni
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scheda di Cilento, A. L'Indice del 2000, n. 01
Nadia Fusini, al suo terzo romanzo dopo La bocca più di tutto mi piaceva (Donzelli, 1996) e Due volte la stessa carezza (Bompiani, 1997), tenta con L'amor vile la strada del sentimento "maledetto": l'amore di cui infatti si parla nelle sue belle e curate pagine è un amore egoista, che non sa condividere il dolore dell'amata, che non può mettersi in gioco perché compromesso dal dolore del passato. Luca, protagonista della vicenda, ha perso il padre in circostanze tragiche: il suicidio, che ha inaugurato la sua educazione sentimentale, sembra destinato a riflettersi nei suoi rapporti amorosi. Per Luca si prepara un'esistenza solitaria, perché marchiata dalla fine della fiducia nelle emozioni. La sua vita, dice l'autrice, "è andata a vuoto", gli è impossibile programmare il futuro, con la bella Paulette incontrata nel suo esilio londinese, o con Lavinia, amica d'infanzia ritrovata. La Fusini s'impegna a raccontare un "disertore della vita", tracciando il ritratto di un uomo debole e sconfitto quasi a stigmatizzare un modello maschile contemporaneo fragile e fallimentare. Un amore estremo, che fa tornare alla mente il Roland Barthes di Frammenti di un discorso amoroso, enciclopedia strutturale dell'amore e delle due fenomenologie, cui forse aggiungere la voce della Fusini, "amor vile", appunto, triste categoria della contemporaneità occidentale. Come può essere "padre del futuro chi non sa essere figlio del passato"? La domanda che l'autrice si pone trova risposte drammatiche per il tono di sconfitta del romanzo: non resta che un'elegia della solitudine, un canto del vuoto emotivo. Finiti i tempi dell'amor sacro e dell'amor profano e i suoi cantori di gesta cavalleresche e ardite, finito anche l'amore folle e suicida del nostro Romanticismo, resta, quindi l'amor vile, l'amore dei ruoli ribaltati. Sembra che Nadia Fusini, narrando il suicidio del padre di Luca, voglia dire che un'intera generazione d'uomini si è persa a causa della sconfitta dei loro padri. Un duro bilancio, che, per tutte altre ragioni, somiglia ai bilanci gelati di certa letteratura italiana, si pensi a Erri De Luca, dove il patrimonio della memoria brucia sulle mani di chi lo possiede. Viene da chiedersi, allora, cosa bruci di più, se il caldo della passione o il freddo della rinuncia. Nadia Fusini risponde che è la rinuncia a distruggere ogni speranza e il vittimismo a corrodere la vita.
Antonella Cilento
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