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Ottimo libro di Storia economica, con un taglio originale e abbondanza di informazioni interessanti. Bello anche il formato della Utet.
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"Ho compiuto 77 anni e vorrei vedere questo libro pubblicato in spagnolo prima di incamminarmi verso i Campi Elisi (
) Ti affido la mia creatura (mi è costata cinque anni di gestazione) e ti chiedo di averne cura prima della mia eventuale dipartita e, quando sarà necessario, anche dopo". Così, nel febbraio del 2001, Ruggiero Romano scriveva a Alicia Hernández Chávez, editordi una collana del Colegio de México, quando le inviava il manoscritto del suo ultimo lavoro. Il testo sarà tradotto in spagnolo e pubblicato postumo nel 2004, due anni dopo la morte del suo autore. L'edizione italiana è dunque la stesura originale dell'opera, ed è stata curata da Marcello Carmagnani, anch'egli storico dell'economia, che per tre decenni è stato uno dei più stretti collaboratori di Romano (qui ricordo solo la direzione congiunta della rivista einaudiana "Nova Americana", 1978-1983).
Nel secondo Novecento, Romano è stato uno dei maggiori studiosi dell'economia dell'antico regime. Se consultiamo i cataloghi di Einaudi, troviamo alcuni esempi del suo contributo alla conoscenza della storia italiana e europea, ma scopriamo anche un aspetto meno noto della sua attività culturale: il profondo interesse per i problemi delle aree latinoamericane, del passato e del presente.
Romano si era trasferito in Francia nell'immediato dopoguerra. A Parigi, quando comincia a insegnare all'École Pratique de Hautes Études, entra nel mondo della scuola storica francese, della rivista "Annales. E.S.C." e di studiosi come Febvre, Labrousse e specialmente Braudel, di cui diventa uno dei più brillanti collaboratori. In questa eccezionale dimensione culturale, e dai seminari e dalle lezioni che tiene dalla cattedra di problemi e metodi di storia economica, a partire dagli anni sessanta matura anche uno specifico interesse per i nodi tematici dell'economia coloniale americana. Inizia così un percorso di studi che continuerà, con dedizione scientifica, per tutto il resto della sua vita, e che culminerà in tre importanti libri: Conjonctures opposées. La "crise" du XVIIe siècle en Europe et en Amérique Ibérique (1992); Moneda, seudomonedas y circulación monetaria en las economías de México (1998); e quest'ultimo America Latina, che suggella una riflessione durata quattro decenni, e che ci propone una ricostruzione completa della vita economica delle aree coloniali ibero-americane.
Nel libro, Romano studia i principali elementi costitutivi del nuovo ordine coloniale e come ciascuno concorre al funzionamento del sistema complessivo: la catastrofica caduta demografica del secolo XVI, in seguito parzialmente assorbita con l'introduzione di nuove forme energetiche, bestiame, specie alimentari, utensili e macchinari; la ristrutturazione delle risorse disponibili, agricole e minerarie; la riorganizzazione della mano d'opera indigena, attraverso forme di lavoro coatto e modalità retributive di tipo feudale. L'ultimo elemento è essenziale nella ricostruzione di Romano, e l'analisi delle forme di lavoro lo porta a negare, senza mezzi termini, che nell'America iberica e coloniale il capitalismo si sia affermato come modello dominante. Nello studio delle diverse attività produttive, Romano scopre che i presupposti qualificanti del capitalismo (lavoro libero, libertà di circolazione del lavoro e delle merci, libertà di consumo) lì non ci sono. Anche la cronica scarsezza di circolante monetario inibisce le possibilità di sviluppo in senso capitalistico e lascia irrisolti alcuni gravi problemi: la concentrazione nelle mani dell'alta economia delle monete preziose e il loro flusso verso i centri metropolitani europei; l'inesistenza di pezzature divisionali, che favorisce l'uso generalizzato di pseudomonete, intensifica la subordinazione delle classi povere a quelle egemoni e limita la circolazione della mano d'opera; l'incapacità del credito di elevarsi a strumento di sviluppo.
Se proviamo a condensare la struttura di questa economia coloniale ricostruita da Romano, possiamo dire che egli ne scompone la totalità in due sfere, non autonome ma operanti in connessioni reciproche: una sfera bassa, l'economia naturale degli indigeni, e una sfera alta, l'economia monetaria degli iberici. Questa idea è il fondamento di tutti i suoi studi (non a caso intitola così il VI volume degli Annali della Storia d'Italia einaudiana che ha coordinato insieme a Ugo Tucci) e ha esplicite anticipazioni, per esempio in un libro del 1972 (Les mécanismes de la conquête coloniale: les conquistadores, trad. it. 1974) che suggerisco di leggere come introduzione ad America Latina.
Romano può dimostrare che l'economia naturale non è un sistema autarchico e chiuso, ma è invece aperta all'interscambio e al baratto. Si apre anche alla sfera monetaria, ma ne è vittima, attraverso le molteplici modalità di sfruttamento, diretto e indiretto, a cui è sottoposta. Dunque, solo studiando l'articolazione delle due sfere è possibile "individuare come la classe 'poderosa' riesce ad estrarre eccedenti dalle classi più umili".
Nel libro troviamo confermato l'insegnamento di questo grande storico: il dovere di risalire alla realtà dei fatti, di chiamare le cose con il loro nome, di arrivare ai problemi senza passaggi inutili e fuorvianti, di ritornare con attenzione proprio su ciò che appare scontato. Gli storici dell'economia devono infatti "cominciare a (ri)leggere cifre e testi con spirito più critico, per giungere a eliminare da prezzi, salari, traffici, produzioni, gli aspetti formali e giungere a quelli reali; senza questo, continueremo a far storia di fantasmi". In questo accorato appello c'è l'invito a contestualizzare, nel tempo e nello spazio, i dati che raccogliamo, o le serie statistiche che costruiamo, e a non sottovalutare gli elementi che ce ne possono garantire l'intelligibilità (per esempio, se nel salario non si scorporano le quote retribuite in natura e quelle retribuite in moneta).
Ma qui c'è anche un'altra importante lezione di metodo, che Romano indirizza contro la "vecchia abitudine" di un certo revisionismo storiografico "di modernizzare il passato, di descrivere in termini moderni categorie che sono di altra natura". È una evidente presa di posizione contro l'assunzione acritica di categorie e concetti che, nel loro stato puro, appartengono a situazioni economico-sociali che sono già fuori dell'antico regime (capitale, salario, interesse, credito ecc.) e il cui uso atemporale può generare grandi confusioni interpretative. Infatti, se ci ostiniamo a cercare in un evento, in un'istituzione, in una serie statistica, o anche in una categoria storiografica, le cose che non ci sono (che non ci sono perché appartengono ad altri momenti della vita sociale), ci precludiamo la comprensione di tutto ciò che invece c'è, di quello che i documenti ci possono concretamente dire, ovvero di ciò che lo studioso ha il compito di individuare e su cui ha il dovere di esprimere il suo giudizio.
Questo è l'insegnamento di Romano, il filo rosso che percorre tutte le pagine di America Latina, un libro che è l'atto finale di una vita di studi condotta con assoluta dedizione alla ricerca della verità e della chiarezza, e con instancabile rigore contro ogni superficialità, fumosità concettuale e conformismo storiografico. Giovanni Casetta
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