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L'imponente quanto erudito saggio di Yuri Stoyanov costituisce un'ampia sintesi delle correnti religiose dualiste dal mondo egizio sino al catarismo medievale. Proprio per questo si potrebbe considerarlo come una sorta di contro-storia delle religioni. D'altra parte, com'è ovvio, una rassegna tanto vasta su di un tema comunque controverso va incontro a diversi problemi di impianto e di metodo: vale la pena segnalarli, ma occorre subito dire che vengono affrontati dall'autore in maniera equilibrata.
In primo luogo, si tratta di mettere bene in chiaro che cosa si intenda per dualismo: qui, Stoyanov, pur esibendo una lucida consapevolezza sulle possibili suddivisioni di tale problematica categoria storico-religiosa, compie infine una scelta massimamente inclusiva. In ogni caso, per districarsi in questo mondo particolarmente complesso, assume come guida generale le classificazioni elaborate dallo storico delle religioni italiano Ugo Bianchi. Quindi, quella che potrebbe configurarsi come una mera tendenza alla contrapposizione tra due principi metafisici causali non complementari può assumere le vesti di un dualismo "radicale" nel caso di una co-eternità dei due opposti creatori dell'universo, piuttosto che "monarchiano" qualora uno dei due principi si trovi in qualche modo subordinato all'altro; la contrapposizione appare inoltre suscettibile di caratterizzarsi come "dialettica" in un sistema temporale ciclico e ripetitivo, oppure "escatologica" se prevede una risoluzione finale all'interno di una concezione lineare e teleologica della storia; infine, il dualismo può anche presentarsi come "cosmico", laddove il mondo materiale sia inteso come creazione benefica, oppure "anticosmico" (e sovente antisomatico), nel caso in cui esso venga considerato come emanazione del male.
Ecco allora che con tale griglia tassonomica, di volta in volta precisata e sfumata a seconda dei contesti, si procede all'esame delle diverse tradizioni religiose, nell'ambito di un'area geografica che va dal mondo iranico alla penisola spagnola, e per un arco cronologico che va dall'antico Egitto sino al catarismo medievale. Il volume procede insomma con narrazione ininterrotta, seguendo un impianto rigidamente cronologico e, in un certo senso, geografico.
Da questo punto di vista, si apre un secondo problema di impostazione: nonostante i ripetuti (e non casuali) dinieghi dell'autore, è evidente che la trama del saggio si struttura seguendo un orientamento visibilmente diffusionista, seppure depurato di ogni presupposto ideologico e di ogni rigidità metodologica. L'indice stesso del libro mostra come la morfologia culturale delle diverse manifestazioni del dualismo religioso paia il prodotto non di una esclusiva evoluzione autonoma quanto piuttosto della diffusione di tratti culturali da un nucleo specifico di provenienza da cui si sarebbero per l'appunto estesi verso le aree geografiche circostanti. Se le cose stessero proprio così, il lavoro si incaglierebbe inevitabilmente sugli scogli di insormontabili difficoltà di metodo; ma, in realtà, alcune accortezze fanno sì che siano di fatto eluse le trappole più insidiose inerenti a tale impostazione..
Innanzitutto, si evita accuratamente di indicare un'unica area di origine, ovvero di attribuire (come sovente si è fatto) all'area iranica zoroastriana la paternità di ogni dualismo. Pur seguendo un vettore principale di diffusione, viene ben evidenziato come la circolazione di un certo tipo di tendenza all'opposizione duale possa combinarsi in ogni contesto culturale con altre ascendenze, di diversa provenienza ma altrettanto importanti: valga per tutti l'esempio dei Balcani (argomento di specializzazione dell'autore), dove la trasmissione di determinate idee orientali messaliane, pauliciane o bogomile si inserisce in un circuito dove già transitano mitologie anch'esse dualiste, seppure in maniera differente (si veda il mito dell'uccello pescatore della terra). Evidentemente, il punto di maggiore fragilità, in effetti trattato con delicatezza, è da individuarsi nei momenti di passaggio da una tradizione all'altra: la questione delle origini di ogni religione o corrente dualista (che si ripresenta puntualmente all'inizio di ogni capitolo) è difatti estremamente problematica e, per quanto la teoria diffusionista possa fornire alcune risposte (peraltro ben sottolineate), permangono tuttavia zone d'ombra refrattarie alle indagini scientifiche (cosa peraltro onestamente ammessa dall'autore). In fin dei conti, si potrebbe dire che ciò che Stoyanov ravvisa nelle maglie della storia potrebbe essere inteso come una certa "aria di famiglia" dualista, vale a dire una rete di somiglianze o di analogie complessa e difficilmente districabile, che nondimeno ci induce a percepire tale argomento come meritevole di una trattazione indipendente.
Com'è naturale, quando si voglia fare uso di un'impostazione metodologica del genere, è necessario fondare in maniera più che sicura le diverse ipotesi, e questo spiega il carattere estremamente (talora troppo) analitico del volume, nonché il suo forte radicamento nella storia (intesa in senso più latamente culturale e istituzionale). Inoltre, tale scelta privilegia certamente un filone sugli altri e tende a soffermarsi poco sui vicoli ciechi della "evoluzione" dualista o su quelli che porterebbero troppo lontano: se è vero che anche la più infima delle sette dualiste slave viene rappresentata, la presunta dottrina manichea del primo personaggio cristiano condannato a morte per eresia, lo spagnolo Priscilliano, è quasi totalmente ignorata, e anche il filone più squisitamente dualista dell'islam, ovvero l'ismailismo, viene trattato piuttosto sbrigativamente.
Ma, intendiamoci, non sono queste critiche sostanziali: è inevitabile che così avvenga in lavori di tale portata. Del resto, il volume presenta uno sbilanciamento evidente verso il mondo slavo, argomento prediletto dell'autore. In tal senso, oltre a essere una lettura decisamente appassionante, è anche un contributo particolarmente prezioso, che illumina un mondo che ci è forse meno noto. Fabrizio Vecoli
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