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Anno edizione: 2017
Anno edizione: 2017
A dieci anni da Sangue di cane, Veronica Tomassini approfondisce con L’altro addio i motivi della sua ispirazione. Nel nuovo romanzo ripercorre la vita del polacco Slawek che, preda dell’alcol, vive volontariamente ai margini, in un’Italia sotterranea, fatta di ponti, metrò e parchi pubblici. Una vita, la sua, che attraversa e abita tante altre vite, di extracomunitari soprattutto, di spacciatori, di prostitute e di vagabondi. E ciò conferisce al romanzo un tono da invettiva contro un Occidente che “seduce e abbandona”.
Con la scrittura serratissima e l’intimo tu che contraddistinguono il suo stile, Tomassini fa emergere le viscere delle nostre città, portando alla luce ciò che preferiremmo non vedere, la spaventosa verità degli esclusi che incrociamo quotidianamente e dei quali non vogliamo sapere nulla né essere responsabili.
Slawek ripara in Italia nel 1996 da Konskie, un piccolo centro del voivodato della Santacroce, per sfuggire alle minacce del Mongolo, un boss al quale fa concorrenza nello spaccio. Percorre il paese da nord a sud, passando per dormitori e falansteri fatiscenti. In Sicilia incontra l’Italiana, con la quale avrà un figlio, Grzegorz. Ma il legame con il passato lo spingerà ad abbandonare la nuova famiglia e a tornare in Polonia. Niente, però, è più lo stesso. I suoi amici sono morti e il Mongolo continua a essere sulle sue tracce.
Conosciamo questa epopea attraverso la donna straziata, l’Italiana. Inerme quanto noi lettori davanti all’autodistruzione dell’uomo, il suo è un amore rassegnato che sembra in qualche modo evocare quello di Didone per Enea. “Sono una slavofila, lo ammetto, ho pianto fino a rovinarmi gli occhi sulla fine di Perhan, il rom de Il tempo dei gitani” dice. Lei, famiglia borghese, prima segretaria poi giornalista, rimane catturata da Slawek quando è ancora una ragazzina. Si incontrano in un crocevia, sente già suo quel ragazzo, “spalle solide, struttura quadrata, polacco”. Lui le chiede una “zigaretta”. È sedotta, lotta per lui, per fargli ottenere la cittadinanza, per liberarlo dall’alcol. “Avevi bevuto per giorni e giorni, seduto al gelo, la neuropatia ti aveva consumato il movimento naturale degli arti inferiori, cominciavi allora a perdere l’uso dell’occhio destro. Mi chiamavi fuori di te. Sto morendo, farfugliavi, ho freddo, misiek, io muoio”.
Una lettura difficile, forte, che può cambiare il nostro sguardo verso le persone che incrociamo per strada, che offre una prospettiva nuova sulla città che attraversiamo e abitiamo. Solo la sensibilità illuminata di Tomassini verso il mondo ai margini poteva riuscire in questo difficile obiettivo.
Recensione di Yasmin Incretolli
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