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Per il senso comune, come per i cataloghi editoriali o per i curricula accademici, esiste tra filosofia e letteratura un ben preciso confine non difficile a localizzarsi. Si tratta però, e questo libro lo mette molto bene in luce, di una sorta di illusione ottica: in realtà, agli albori della nostra cultura la figura del saggio e quella del poeta si sono sovrapposte a lungo; nell'età romantica filosofia e letteratura, specie in ambito tedesco, si sono intrecciate in modo indiscernibile; nel panorama della riflessione odierna, poi, segnato dall'eredità controversa di Heidegger e di Nietzsche, le prospettive di Derrida e di Rorty hanno rimesso in causa i margini del discorso filosofico e il suo complesso, ambivalente rapporto con la scrittura letteraria. Rapporto che d'altronde non ha mai avuto nulla di pacifico né di scontato nemmeno in passato, come mostrano gli esempi allineati in questo volume. In Montaigne la forma letteraria del saggio diventa lo strumento per accogliere nella sfera filosofica l'esperienza sensibile, il caduco, l'accidentale; in Leopardi una complessa dialettica arriva a ipotizzare l'alleanza tra poesia e filosofia; in Pessoa il gioco letterario delle identità molteplici assume consistenza filosofica. Stupisce non trovare, nel denso capitolo leopardiano, fitto di rimandi alla critica recente, il nome di Sebastiano Timpanaro: è difficile credere che, anche a chi si ponga in una diversa prospettiva teorica, i suoi appassionati studi su Leopardi e il materialismo francese non abbiano oggi più nulla da insegnare. D'altronde, non trovo il nome di Timpanaro nemmeno nei pur importanti La critica letteraria in Italia (1945-1994) di Giuseppe Leonelli (Garzanti, 1994) e Ingrati maestri. Discorso sulla critica da Croce ai contemporanei di Massimo Onofri (Theoria, 1995). Un'assenza sconcertante e per me dolorosa.
Mariolina Bertini
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