Per chi segue il calcio in maniera distratta, guardando solo qualche partita sospeso fra pay-tv e poltrona, il Rayo Vallecano potrebbe apparire semplicemente come una mediocre squadra di calcio spagnola, invischiata in disperati tentativi di rimanere nella massima serie o in funamboliche promozioni dalle serie inferiori. Per gli appassionati autentici invece, cresciuti magari su una gradinata e diventati adulti durante una trasferta, il Rayo è qualcosa di più. Per loro, i veri tifosi, il Rayo Vallecano non è la terza squadra di Madrid, la sorella "povera" e negletta del Real e dell'Atletico. È prima di tutto un simbolo. Un simbolo di resistenza e ribellione al calcio moderno, ma anche un ritratto gioioso di una squadra radicata visceralmente nel barrio di Vallecas, il più ribelle di Madrid. Che non rinnega la sua genesi ma che al contrario la trasforma in un baluardo, in un vessillo, in orgoglio. Perché tifare Rayo non è una cosa da tifosi "occasionali" ma piuttosto una religione laica che ha delle precise ritualità, dei gesti e dei codici che si riproducono fedeli anche nelle nuove generazioni di tifosi. E di Bukaneros, il gruppo protagonista nella curva del Rayo, si parla ampiamente in tutto il libro. Delle loro imprese negli stadi, ma soprattutto del loro antifascismo, del loro antirazzismo, del loro rivendicare senza tentennamenti l'estrazione proletaria e l'orientamento di sinistra di tutta la curva. Quique Peinado, l'autore, intreccia malinconici ricordi dell'infanzia in un quartiere povero e devastato dall'eroina, cita aneddoti da Bar dello sport e rievoca assolate domenica allo stadio - non senza rispolverare antichi miti caduti in disgrazia - solo per gridare forte il suo amore verso una squadra, orgogliosa di imbracciare la fionda e di combattere come Davide contro i Golia del calcio.
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