L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (0)
È strano come la ricerca letteraria, per quanto curiosa di tutto, lasci talvolta vacanti, per moltissimo tempo, delle ghiotte occasioni su autori anche grandi. A nostra conoscenza, nessun lavoro antecedente a questo di Rolando Pieraccini s’era mai specificamente occupato del rapporto tra Aldous Huxley e il nostro paese. Eppure non si tratta del solito viaggio d’autore con annesse belle impressioni. Huxley è un assiduo dell’Italia tra il 1921 e il 1929, e vi ritornerà con variabile periodicità (soprattutto nelle città più amate, Siena e Roma) nell’arco di trent’anni, tra il ’34 e il ’63.La durata dei soggiorni è di gran lunga superiore a quella di illustri conterranei (Forster e Lawrence, Beerbohom e Greene).In Italia scrive non poche cose, tra cui Crome Yellow (1921; Giallo cromo, Einaudi, 1979), Antic Hay (1923), Those Barren Leaves (1925) e alcuni tra i racconti più significativi; e in Italia ambienta parte della sua narrativa (lo stesso Those Barren Leaves, ma anche Time Must Have a Stop del 1945, e qualche racconto). Strenuo ammiratore di Dante, buon lettore in generale del parnaso italiano (da Boccaccio e Petrarca, sino a Machiavelli, Tasso, Leopardi e la Vita di Alfieri: il grande escluso è Manzoni), Huxley diviene vago e lacunoso con i contemporanei: legge Pirandello, ma la verbosità di D’Annunzio, dopo un primo entusiasmo, lo delude; una sopravvalutazione di Papini è riscattata dal fiuto sicuro per i libretti d’opera (il Don Giovanni di Da Ponte e il Falstaff di Boito accomunati in un primato assoluto con quello del Wozzeck). Non è comunque la letteratura, ma il patrimonio artistico, a creare il filo rosso con l’Italia. La visione estetica di Huxley è rigorosamente classicista e procede per contrapposizioni. Da qui un riconoscimento all’eclettismo di Bernini, ma il rigetto di ogni altra espressione del Barocco (alla cui ridondante "insincerità" nell’architettura oppone il modello del classicismo londinese di Inigo Jones e Christopher Wren). La lezione italiana, per Huxley, resta quella quattrocentesca di Leon Battista Alberti e della sua diretta derivazione pittorica, Piero della Francesca: la Resurrezione di quest’ultimo (a borgo San Sepolcro) è "the best picture in the world". Gli anni italiani più fecondi e felici di Huxley coincisero col fascismo, e qui Pieraccini non risparmia le frecciate alla lunga e complice indifferenza al regime, contestato troppo tardi (e mai apertamen- D’altronde, a parte i contatti sporadici con alcuni aristocratici, una privacy ostinata e diffidente rese del tutto estraneo Huxley al circondario umano locale; distanza un po’ frigida che forse si riflette in quei personaggi disossati e senza calore (ma abili e instancabili conversatori) che dei romanzi sono quel limite di cui alcuni attenti lettori s’accorsero presto (tra questi Tomasi di Lampedusa). Non è un caso che oggi una maggiore attualità tocchi agli apologhi lucidamente pessimistici alla Swift e all’enciclopedismo intelligente e brillante dei saggi motivatamente ammirati da Rolando Pieraccini, "anglista dilettante" (secondo la definizione della quarta di copertina). Di dilettantesco in questo Aldous Huxley e l’Italia c’è solo il piacere di spaziare (sapendolo fare) nell’ampio spettro delle arti toccato da Huxley; in realtà, l’informazione di prima mano (lettere, documenti, iconografia), la ricchezza di citazioni, la minuziosità del biografo e del filologo (si vedano le statistiche linguistiche dell’appendice) sarebbero quelle del più serio essay accademico. La noia ne è però lontana: quasi ogni squarcio (l’intrigante ritratto dell’editore Orioli, il complesso sodalizio con Lawrence, l’ammirazione per Petrolini) racconta di una familiarità con quegli anni degna di un testimone oculare.
recensioni di Lauro, C. L'Indice del 1999, n. 09
te) per avversione più allo sciocchezzaio della propaganda che ai nefasti contenuti politici. Del resto, prima della svolta mistico-pacifista dello scrittore, la sfiducia per la democrazia, la simpatia per i governi forti e il sogno di curiose oligarchie intellettuali erano state costanti huxleiane, rinforzate dalla lettura assidua di un filosofo, sociologo ed economista reazionario quale Vilfredo Pareto.
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore