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Nelle prime righe del primo saggio, Ambrogetti si augura che gli storici si occupino con più intensità di intelligence, relegando il povero e grande De Lutiis (pioniere degli studi in questo campo) tra i "giornalisti e osservatori". (Poco) paradossalmente i saggi più interessanti del volume sono quelli di Biscione e Pacini, che, ahiloro!, non sono storici accademici. Di Pacini parla correttamente la recensione di Enrico P. Biscione propone un'originale esegesi del passo del memoriale in cui Moro dice che nel 1960 De Lorenzo gli fornì le intercettazioni che gli "permisero di esigere le dimissioni del Governo Tambroni". La lectio facilior è questa: un segretario di partito ricatta un capo del governo facendolo intercettare dal capo dei servizi. Cosa piuttosto inquietante, ma che non sembra inquietare la storica Capperucci nel suo encomiastico saggio su Moro. Per Biscione le intercettazioni sono invece quelle commissionate da Tambroni nei confronti dei suoi avversari: la figura di Moro ne uscirebbe un po' meglio, quella delle istituzioni no.
Raccoglie i saggi di un convegno omonimo, dei quali vale la pena di leggere sostanzialmente quelli di Biscione e di Pacini. Quest’ultimo di oltre cento pagine è il primo tentativo di ricostruire nel dettaglio gli elementi che permettono di parlare di un patto stipulato da Moro (il famoso lodo) con le diverse frange dei palestinesi negli anni Settanta. Viene così in luce il ruolo decisivo svolto dal colonnello Giovannone, ricordato da Moro nelle sue lettere dalla prigionia e nel memoriale. I rimanenti saggi, di diverso spessore, riassumono le linee sostanziali dei rapporti di Moro con i servizi di informazione e sicurezza dal 1960 in poi.
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