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Disegnatore, pittore, incisore, Albrecht Dürer domina – insieme con pochi, grandissimi italiani – il panorama dell’arte europea del Rinascimento. Ma anche più dei massimi italiani, grazie alla tecnica dell’incisione, che consentiva un’ampia moltiplicazione e circolazione di copie delle sue opere, egli ebbe fama e influenza straordinaria in tutta l’Europa continentale, già in vita e ancora per molti anni dopo la sua morte (1528). Dalla Spagna alla Germania, dalla Francia alla Polonia, dai Paesi Bassi al Monte Athos, si può dire che almeno fino alla metà del ’500 – e poi ancora, benché in modo meno generalizzato, nelle età successive – non c’è prodotto artistico in cui non si ritrovino motivi o influssi düreriani: suggestioni di un’arte che aveva saputo conciliare in modo eccezionale una geniale assimilazione e rielaborazione della cultura pittorica italiana, conosciuta durante ripetuti viaggi in Italia tra il 1491, forse, e il 1507, con una profonda esperienza della tecnica tedesca e fiamminga. Dopo Moritz Thausing, che in una monografia del 1876 (2a ediz. Riveduta 1884) aveva compiuto il primo tentativo di ricostruzione di un profilo documentato e non leggendario di Albrecht Dürer, sarà Heinrich Wölfling a realizzare un’ampia sintesi storica e critica sul grande artista di Norimberga, pietra miliare per tutte le indagini successive: un’opera di altissimo livello, pubblicata per la prima volta nel 1905 e variamente rielaborata e ampliata nelle numerose edizioni che sono seguite, considerata ancor oggi un classico della storiografia artistica e al tempo stesso un capolavoro letterario. Wölfling ricostruisce rigorosamente – in uno stile fresco e piano, di grande leggibilità – le vicende della vita di Dürer, i suoi viaggi in Europa e in Italia, i grandi cicli figurativi, l’attività al servizio dell’imperatore Massimiliano I, offrendo insieme un quadro completo delle sue esperienze e della sua produzione artistica. Per la prima volta l’arte di Dürer viene indagata e interpretata nella prospettiva di una nuova visione critica elaborata dal Wölfling, allievo di J. Burkhardt e di C. Fiedler, e perciò educato al concetto della storia dell’arte come storia della cultura e della civiltà, appreso dal primo, e quello della forma dell’opera d’arte come espressione del suo contenuto spirituale, appreso dal secondo. Un libro straordinario, in cui l’ampiezza della visione storica e l’acutezza del giudizio critico, che ne hanno fatto un classico tuttora insuperato, non impediscono l’agile freschezza dell’esposizione, per cui è considerato un modello della saggistica storica moderna.
(scheda pubblicata per l'edizione del 1988)
scheda di Ferretti, M., L'Indice 1988, n. 9
Un po' a sorpresa, in una collana di biografie diretta da Firpo, arriva un classico della storiografia dell'arte (la prima edizione è del 1905). Arriva, fra l'altro, in una veste editoriale molto pulita e con riproduzioni tratte da foto originali (cosa che non capita sempre quando l'editore non è del settore). L'ancora fascinoso passo critico, cadenzato in paragrafi di diretta analisi delle opere (il libro si intitola in realtà all''arte' di Dürer), è prossimo a quello dell''Arte classica', che con questo libro presenta anche aspetti di specularità tematica. Wolfflin liquida la vecchia oleografia nazarena dell'artista tedesco, ma il problema che si ripropone ad ogni crocevia è quello delle identità artistiche nazionali e dei correlati tempi stilistici. Fu un problema discusso ancora a lungo. Sono noti, a tale riguardo, i sospetti del Longhi di "Arte italiana e arte tedesca": e il conseguente invito a passare dagli schemi generali ai casi specifici. In questo senso è strano che questo libro non sia giunto da noi da tempo. Il ritardo comporta sempre un certo spiazzamento per il lettore. Sarebbe stato troppo bello avere anche un'introduzione adeguata a tali necessità; se non si fosse subito persa nella contrapposizione, giusta ma troppo corrivamente riducibile, con il Dürer che più è nostro, quello di Panofsky.
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