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Da circa due secoli, strade ferrate e locomotive sono diventate, quali simboli della modernità, punti di riferimento di romanzi e racconti: elementi di incontro e confronto tra mondi diversi ma anche di separazione e allontanamento, quindi di cambiamento. E il treno si staglia sullo sfondo del romanzo di 'Abd al-Rahman Munif in modo assai più perturbante di quanto possa, a un approccio superficiale, risultare. Mansùr, protagonista del libro, è un professore di storia, musulmano ma laico, che, una volta espulso dall'università, si vede costretto ad abbandonare il suo paese in cerca d'una occupazione. Per decidere infine, dopo un interminabile iter burocratico, di salire sul treno e andare a lavorare come interprete in una missione archeologica francese. È così che Mansùr si lascia alle spalle un paese asservito e prostrato, tutte quelle falsificazioni della storia operate da un regime totalitario, e persino il suo stesso passato, per costruirsi una nuova vita. Ma certi angosciosi assilli, che lo inchiodano a quanto ha lasciato, gli resteranno sempre: "La nostra storia... cos'è la nostra storia? È disprezzo per la verità, è negazione della verità, che viene puntualmente mistificata". E ancora: "Capisco che possiamo essere stati sconfitti una volta, anche cento volte; quello che non capisco, però, è come si possa rappresentare la nostra sconfitta come una vittoria!". Per culminare in una convinzione quasi profetica: "La storia è un racconto lungo e doloroso, intessuto di bugie: così è stato sin dall'inizio, e così sarà in avvenire!".
Se questa è la vicenda di Mansùr, non è improbabile ipotizzare che le ragioni del libro si possano comprendere all'interno della storia intellettuale dell'autore. Munif, infatti, oltre che uno dei più grandi narratori, è anche considerato uno dei pochi intellettuali non organici arabi. Nato da madre irachena e da padre saudita, tanto che amava definirsi arabo secondo quel sogno panarabo che però dovette rimanere deluso (è significativo che nessun paese venga nominato nel libro, mentre resta palese che la vicenda si svolge nel mondo arabo), fu costretto più volte all'esilio per motivi politici. Scrittore d'una vasta produzione saggistica e narrativa, Munif compose questo suo libro d'esordio soltanto nel 1973, quando ebbe maturato la convinzione che in una regione così ampia e frammentata, dove l'opinione pubblica era ridotta al silenzio, privata dei diritti fondamentali, la letteratura fosse l'unico strumento capace di contribuire allo sviluppo d'una coscienza civile. Ecco perché Mansùr, quando espatria, porta con sé alcuni libri per lui fondamentali, tra i quali i Prolegomeni di Ibn Khaldun, Il pensiero di Karl Marx, La generazione disillusa di Lermontov. In effetti Munif, come il suo alter ego Mansùr, fino alla morte, sopraggiunta lo scorso anno all'età di settantun anni, non cessò mai di ravvisare nella letteratura l'opportunità d'una risposta, altrettanto storica, alle palesi mistificazioni operate dalla storiografia ufficiale sulla secolare vicenda degli arabi.
Ma non è da vedere solo qui, nella dimensione d'un notevole e risentito impegno civile, il talento di uno scrittore come Munif. Basti solo pensare al mitico Elyas, compagno di viaggio di Mansùr, un moderno picaro le cui vicende occupano la prima parte del romanzo, dentro una proliferazione di racconti che sembra non dover finire mai, se non quando questo curiosissimo contrabbandiere d'abiti usati viene bloccato alla frontiera da doganieri corrotti e avidi. Solo a questo punto il quadro può risultare completo: quello di una società in bilico tra presente e passato, che spesso si è fatta ingannare da promesse di denaro facile, ma pur sempre alla ricerca della sua libertà e della sua modernità, quella che trova nel treno il suo più suggestivo correlativo oggettivo. Le storie di Elyas e Mansùr finiscono per essere l'esatta dimostrazione di come in quella parte del mondo il tempo continui a scorrere, secondo le scansioni d'una storia senza storia, continuamente strozzata dal cappio della violenza e della menzogna. Costringendoci a quest'amara presa d'atto, dentro la constatazione di come tutto rimanga inesorabilmente uguale a se stesso, Munif ci ha consegnato un libro che resta di stupefacente attualità.
Silvia Lutzoni
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