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Non è facile rispondere al quesito che apre questa cronaca politica del nostro paese, cronaca che, attraverso "lo psicodramma dei modelli elettorali scelti", per dirla con le parole del prefatore Stefano Folli, ci racconta "la condizione sussultoria di quel lungo periodo della nostra vita pubblica che va sotto il nome di 'transizione'", l'estenuante passaggio dalla Prima Repubblica a un assetto istituzionale da alcuni ritenuto risanato e ammodernato.
"In quale Repubblica siamo?", si domanda Giuliano Torlontano, che prova a rispondere esplorando la posizione delle singole forze politiche di fronte alle ipotesi di riforma di un sistema elettorale, la legge Calderoli, che tutti riconoscono essere inadeguato e contraddittorio, ma in merito al quale non esiste un progetto di modifica abbastanza condiviso da produrre i necessari correttivi. Nessuno dei tre modelli principali, quello francese, quello spagnolo e quello tedesco, pur con gli adattamenti necessari, riesce a porsi in modo stabile al centro dell'attenzione. I tre modelli determinano anzi forti tensioni, e non solo all'interno dei due poli, cioè tra forze a vocazione maggioritaria e partiti minori, ma anche nell'ambito stesso delle singole formazioni politiche. Così, se il Partito democratico naviga tra il modello francese su cui punta Veltroni e le aperture al modello tedesco di Fassino e D'Alema, il Popolo della libertà si muove tra il semipresidenzialismo di Fini e il neoproporzionalismo di Berlusconi. Per non parlare del complesso e talora lacerante rapporto di ciascuna forza politica con il referendum Segni-Guzzetta che la fine anticipata della XV legislatura ha rinviato al 2009.
Torlontano, e questo è il pregio maggiore del suo libro, tenta una disamina della questione non limitata alle opzioni e dinamiche politiche, privilegiando un approccio che pone, accanto ai legittimi interessi dei partiti, quelli del sistema istituzionale. Per questo insiste sul nesso tra riforma elettorale e Costituzione, scrivendo pagine di grande interesse quando lascia parlare alcuni personaggi che, pur avendo scelto la militanza attiva, non rinunciano all'analisi scientifica. Così sono da non perdere, in particolare, le riflessioni di Augusto Barbera, che richiama le "tre pagine che il Costituente lasciò in bianco" (rafforzamento del governo, bicameralismo e regionalismo) e mette in guardia sulla correlazione tra governo debole e dissesto finanziario, e di Gaetano Quagliariello, che spiega le ragioni del suo sì "critico" alla riforma costituzionale del centrodestra, poi bocciata dal referendum confermativo.
Siamo dunque nella Terza Repubblica, o siamo a mala pena ai suoi albori, come lascerebbe intendere il titolo del libro? L'autore non ha dubbi: "Siamo ancora nella Seconda Repubblica", scrive, con un bipolarismo non scalfito dal Porcellum, ma con un bipartitismo solo "tendenziale" se non ipotetico. Il referendum del 2009 potrebbe peraltro aprire "una strada dalla destinazione ancora imprevedibile", specie se riuscirà, nei mesi che lo precedono, a produrre il "profondo ripensamento del parlamentarismo italiano" invocato da Sartori e una legge elettorale ispirata in modo compiuto e coerente a uno dei tre modelli prima richiamati.
Romeo Aureli
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