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Un libro molto morbido, pieno di nostalgia e tenerezza, che racconta le origini e la famiglia dell'autore. Mi aspettavo maggiore spazio alla malattia mentale della madre e alle sue conseguenze, invece di fatto tutte le figure familiari rimangono sullo sfondo, tratteggiate ma poco approfondite, se non forse quella del padre. Ben scritto, io personalmente mi aspettavo un altro spessore, sono rimasta piuttosto delusa.
Un libro autobiografico. La vita della famiglia con le abitudini, i funerali, la pazzia, con tutti gli aspetti belli e brutti che vengono messi in luce, svelati come se fossero scritti per comprenderli appieno, per dare un senso alla vita. Originale.
Un racconto intimo, estremamente carico di malinconia, che inevitabilmente emerge dallo sguardo amorevole dell'Autore nei confronti della propria famiglia, alla quale rivolge un pensiero costantemente riconoscente e colmo di tenerezza. Ciò nonostante, il filo conduttore risulta essere un "sense of humor" innato, che nemmeno nei passaggi più dolorosi viene mai a mancare.
Recensioni
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Alan Bennett ha ormai una reputazione salda anche in Italia, per i monologhi brillanti, per le scritture drammaturgiche più classiche, amate nel West End, come La pazzia di re Giorgio e The History Boys, entrambi portati sullo schermo da Nicholas Hytner e il secondo recentemente proposto in Italia dal Teatro dell'Elfo. Il talento di scrittura per questo attore, che era esploso nello spettacolo satirico Beyond the Fringe, insieme a Dudley Moore e Jonathan Miller, era venuto in luce proprio nel frenetico bisogno di aggiungere sketches a un lavoro che dal festival di Edimburgo era rapidamente approdato nei più prestigiosi spazi di Londra e New York. I suoi testi più noti per la scena, come La signora nel furgone e quelli raccolti in Signore e signori, entrambi pubblicati da Adelphi (rispettivamente nel 2003 e 2004), sono ritratti di personalità al confine tra fasi diverse della propria esistenza. Un po' come accadeva alla borghese protagonista di Nudi e crudi (Adelphi, 2001) che vedeva il suo appartamento svuotato dai ladri e perdeva, letteralmente, il senso della sua persona, scandita da una maniaca passione per il Così fan tutte di Mozart e da una esclusiva serie di rituali linguistici condivisi con il marito, altrettanto annichilito dall'evento. La maggior parte delle Talking Heads, come voleva il titolo di un suo celeberrimo programma per la Bbc non appartengono a teste coronate, ma anzi a persone dalle vite grigie, spesso vissute in periferie di città industriali. Bennett, che in primo luogo studiò storia medievale, viene proprio dallo Yorkshire delle fabbriche, oggi in buona parte abbandonate. Da quei luoghi di nere polveri sospese, che rendevano impossibile tenere in ordine le case o fare un bucato con una certa facilità, partì per la sua conquista del mondo. Oggi, verso i settanta, torna decisamente a quell'ambiente, con la sua maggiore, finora, prova narrativa, uscita nel 2009 in Inghilterra e che ora opportunamente Adelphi propone a tamburo battente nella felice traduzione di Mariagrazia Gini, con il titolo Una vita come le altre. In queste pagine autobiografiche si scopre il centro di una osservazione minuta, sarcastica eppure compartecipata, che è il segreto di una scrittura fatta di puntini di sospensione, pause apparentemente divaganti, calcolatissime rivelazioni mascherate nella conversazione di routine. La storia si dipana da una prima scena madre: insieme al padre, lo scrittore si reca nel 1966 da un assistente sociale per parlare della madre, che dopo il trasferimento in un villaggio, vive di paranoie e ossessioni. Dopo l'ennesima crisi, il consorte che la ama moltissimo, ha deciso a malincuore di portarla in una clinica psichiatrica, che al primo ricovero sembra uscire dalle incisioni crudeli per La carriera di un libertino di Hogarth. La domanda finale è: "Ci sono altri casi in famiglia?". Risposta all'unisono: no, salvo che poi all'uscita, il genitore ammette che suo suocero, Mr Peel, di cui tutti avevano sempre saputo fosse morto per infarto, si era in realtà suicidato, dopo turbe che avevano minato la sua percezione della realtà. Da qui si dipana il viaggio di una "famiglia come le altre", che proprio come tutte, ha i suoi segreti e le sue bugie e i suoi momenti di gloria. La vita quotidiana a Leeds era vissuta dalla famiglia dell'autore in una chiave di sobrietà, stando sempre attenti a non essere "ordinari", a non farsi notare troppo cioè, a non dare in scalmane, talmente understated da non poter infine non nutrire ansie e fobie di ogni tipo. Bennett dichiara qui la sua opera come dialogante in modo diretto con questa scombinata saga, visto che certi momenti corrispondono all'ispirazione per certi passi di testo, come svela, via via, compiendo una vera e propria archeologia della propria ispirazione. Le sorelle Peel trionfano, su toni decisamente diversi. Zia Myra, che era stata a lungo in Oriente ed era una vera e propria drama queen, sempre sopra le righe, intenta a mostrare le sue foto in sari con il marito, pilota della Raf, sarà infine vittima del proprio dovere monomaniaco, della propria fedeltà ossessiva a una vita da caserma. Zia Kathleen, logorroica, zitella addetta alla custodia della nonna, troverà, fuori tempo massimo, un improbabile consorte, un nanesco australiano, che farà di tutto per portarla al suo paese, prima di precipitare anche lei nelle braccia della follia e morire, tristemente, fuggendo per una "passeggiatina" dalla clinica psichiatrica. La madre, di cui compaiono molte fotografie dall'album di famiglia, come accade anche per gli altri personaggi citati, resta per quasi tre decenni ospite di ospedali e case di riposo, fino alla scomparsa, dimenticata subito, perché troppo a lungo prevista. Le pagine che spiccano sono soprattutto quelle dedicate all'impossibile dialogo con lei, che sempre meno lo riconosce, negli ultimi anni di vita. L'imbarazzo, l'impossibilità di dichiarare i propri sentimenti a voce alta, si declina in strazianti rituali, come quello di mettersi a fianco, sul cuscino, per cercare un impossibile riconoscimento. Nel frattempo le parole, sempre più difficili da dire, sono firmate da una persona che si riconosce nell'identikit di un pensionato britannico tipo, ossessionato dalla storia familiare, alla ricerca di segreti sepolti, per comprendere in primo luogo se stesso e i propri moventi. Luca Scarlini
Nonostante fosse una famiglia normale, quella di Alan Bennett non era mai riuscita ad essere uguale alle altre. Forse è per questo motivo che il figlio minore ha sviluppato questo sguardo ironico e disincantato sul mondo, perché le scene di vita quotidiana a cui ha assistito sin dall’adolescenza lo hanno portato a cogliere le espressioni più straordinarie anche in situazioni apparentemente normali.
Scrittore, sceneggiatore teatrale e televisivo di successo, noto per le sue commedie umane popolate da personaggi sempre un po’ sopra le righe (Nudi e crudi, La signora nel furgone, La sovrana lettrice), Alan Bennett in questo memoir fa un omaggio toccante ai suoi genitori, a suo padre Walt, a sua madre Lilian e alla loro unione decisamente fuori dall’ordinario. Nonostante provenissero entrambi da famiglie piccolo borghesi, i Bennett avevano un contegno e un’educazione estremamente rigorosi. Lui era un macellaio molto sui generis: mingherlino, placido, quasi intimorito di fronte al mondo. Lei una casalinga con una grande passione per le cose “di classe”, dove per “classe” non s’intende il ceto sociale, ma tutto quello che si discosta dall’ordinario.
In generale i Bennett odiavano attirare l’attenzione, partecipare al trambusto familiare, suscitare i commenti dei vicini. Quando, dopo la pensione di Walt, si erano trasferiti da Leeds a un minuscolo villaggio della zona dei Dales, il bisogno di Lilian di “passare inosservati” era sfociato in un atteggiamento maniacale di diffidenza nei confronti di vicini, passanti, automobilisti che transitavano per caso sotto le sue finestre.
Alan Bennett ricorda in queste pagine, con una lucidità struggente, tutte le volte in cui sua madre indicava tremante l’intruso immaginario nascosto nella dispensa o in un armadio, le giornate che trascorreva nascosta in qualche angolo della casa aspettando che la paura passasse, mentre suo padre tentava di riportarla alla ragione. Dopo la prima crisi del 1966 e per i trent’anni successivi, sua madre aveva subito diversi ricoveri in varie cliniche psichiatriche, conclusisi quasi sempre con un elettroshock e la conquista di un breve e instabile periodo di pace.
Suo padre in tutti gli anni della sua malattia - che all’inizio era stata scambiata per depressione ma che in realtà era una forma di demenza senile - aveva dimostrato un amore e una devozione commovente nei confronti di sua moglie e una fiducia quasi ingenua nel suo recupero.
Lunghi anni di crisi improvvise ed emergenze, telefonate nel cuore nella notte, ricoveri coatti e terapie d’urto ai quali Alan Bennett assiste da spettatore, senza mai interrompere la sua attività di scrittore e senza mai pensare che la sua biografia potesse contenere degli spunti interessanti per i suoi scritti. Fino alla scoperta della verità: la vera causa della morte di suo nonno, la fuga di sua zia, i segreti che hanno reso la sua famiglia diversa da tutte le altre. Lo scrittore inglese rovista nei suoi ricordi familiari raccontandoci una grande storia d’amore. Lo fa senza indulgenza, utilizzando il suo solito sguardo disincantato e tratteggiando due personaggi che hanno saputo trasformare la tragedia di un male oscuro nella commedia della vita quotidiana.
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