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Questo libro esplora le molteplici forme di "cultura pubblica" che hanno caratterizzato la storia degli Stati Uniti d'America dalla guerra civile al periodo progressista. L'autrice - una studiosa di storia nordamericana che si colloca all'interno del filone storiografico della New History - ricostruisce la complessa articolazione della società civile secondo le linee di classe, razza, genere ed etnia. Emerge da queste pagine, di cui sono protagonisti le donne e gli uomini afroamericani dopo la guerra civile, le giovani immigrate nella grande metropoli newyorkese agli inizi del Novecento, i riformatori e gli scienziati sociali il cui impegno civile contribuì a smantellare le gerarchie razziali del darwinismo sociale, una società americana in gran parte sconosciuta al pubblico italiano. Si tratta di un mondo i cui conflitti attraversano profondamente il terreno culturale e la definizione di modernità, in cui la politica esprime le tensioni razziali, di classe e di genere es'innova ridefininendo costantemente il concetto di democrazia. Per questa via il libro lancia anche un ulteriore messaggio al pubblico italiano di oggi: le idee di libertà e democrazia che vengono dall'America, lungi dall'essere appiattite sui valori del libero mercato, sono invece l'espressione storica di conflitti di classe, di razza, di genere e di etnia: conflitti sviluppatisi nel nome della giustizia sociale che erano stati sanciti dalla Dichiarazione di Indipendenza del 1776. Gli interrogativi dalla storia della democrazia partecipativa negli Stati Uniti possono così stimolare il dibattito tra tutti coloro che sono civilmente impegnati a espandere i margini del controllo democratico nell'era della globalizzazione.
A ispirare questa raccolta di saggi è innanzitutto l'impianto storiografico adottato da Eric Foner nella sua Storia della libertà americana (Donzelli, 2000). La New American History che Foner ha promosso, distanziandosi dalle monolitiche immagini degli Stati Uniti come "bene" o "male", si pone il fine di "decostruire" le rappresentazioni "consensuali" dell'identità americana. Intende quindi rielaborare quest'ultima come un processo dinamico, che non si esaurisce con i soli fattori di "eredità", bensì presuppone inevitabilmente delle "scelte", nelle quali i meccanismi di "inclusione" e di "esclusione" svolgono una funzione fondamentale. Gli studi di Alessandra Lorini prendono in esame le questioni dell'immigrazione, della "razza" e della povertà a New York, a partire dalla metà dell'Ottocento, quando la metropoli, per la sua composizione sociale, divenne il "simbolo delle forze interne che minacciavano la repubblica americana". L'incrocio tra le Cross, Anthony, Little Water, Orange e Mulberry Streets costituì "il primo famigerato slum del mondo". Come già ha rilevato Foner, le guerre, in quel contesto multietnico, divennero strumenti per un'americanizzazione forzata, alla quale le varie componenti sociali diedero naturalmente valori molto diversi. Fra i temi approfonditi nel volume vi è poi la condizione delle donne immigrate nelle descrizioni compiute dai riformatori sociali dell'epoca. In questi rilevanti percorsi di ricerca viene però introdotto il problematico concetto di "utilità" della storia. Dall'impegno scientifico, infatti, l'autrice intende farne discendere uno civile, per l'espansione pluralistica del controllo nella "democrazia partecipativa". Anche a questo nobile ideale, tuttavia, non dovrebbe essere consentito di giustificare l'uso polemico della storia.
Giovanni Borgognone
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