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Me l'ero ripromesso da tempo e alla fine ce l'ho fatta: leggere un'altra opera di Le Clezio per capire se quest'autore mi piaccia oppure no. La lettura del "Continente invisibile" non mi aveva affatto entusiasmato, mentre questo libro mi è piaciuto parecchio. Innanzi tutto per il punto di vista scelto dall'autore: egli racconta l'Africa con i suoi occhi di bambino, quando le circostanze lo portarono a vivere nel Continente nero. Ma più che i paesaggi gli interessa descrivere le persone, in particolare una: suo padre. Per Le Clezio il padre è l'Africa, con i suoi misteri, le sue asprezze, le sue immense bellezze. In quell'uomo ombroso e selvaggio egli ritrova tutte le caratteristiche della terra africana che scopre giorno dopo giorno assieme al fratello. Bello e a tratti commovente.
L'Africa è il tempio delle sensazioni: odori suoni colori si impongono con violenza, con urgenza icastica, come in sogno, quasi insostenibilmente. Sorprende, sul paesaggio, il dominio dell'ampiezza, di proporzioni e orizzonti: distese erbose incontaminate, che in Europa non sappiamo concepire. In Africa senti il battere del sangue, puro e inesorabile, come il ritmo dei tamburi nelle feste dei villaggi. Gli istinti si risvegliano, divampano, intatti. Il profumo dell'erba, lo stridio della giungla, il soffio caldo della prateria: tutto è diolatato. il braccio impetuoso dei fiumi, le mandrie millenarie. E il sole che copre tutto, oppure i temporali che scatenano l'energia che plasmò il pianeta appena nato. Valli a strapiombo, vette che spuntano dalle nuvole. Cielo e terra sembrano più vasti, si estendono più in là di dove lo sguardo giunga. E che libertà, vivere in Africa: camminando utto il giorno, e la sera stendersi esausti su un'amaca, sotto le stelle, o in una capanna, insieme a una donna. Lo sognò anche Rimbaud, quando scese in Etiopia. Altro che le comodità del mondo dei bianchi. Il piacere della vita fisica, la gente che viveva spensierata, allegra, contenta della sua semplicità. Poi è arrivata la modernità, e ha posto fine a quel sogno: inculcando anche negli Africani il veleno della venalità, del desiderio di cose artificiali, di guadagno. Li abbiamo corrotti, facendoli diventare come noi: questo il risultato dell'esportazione del modello culturale europeo. E ora anche loro scimmiottano i vantaggi più superficiali del progresso, si lasciano abbagliare dagli idoli che hanno visto attraverso la televisione... E il cuore immenso del continento langue, dimenticato e tradito da uomini che non vedono più Dio nella pioggia e negli alberi. guglielmo aprile
L’Africa raccontata da un bambino che, con la madre, lascia l’Inghilterra per andare a vivere in Nigeria dove il padre (che in pratica non conosce), fa il medico dedicando la sua vita agli indigenti, ai malati, agli oppressi: una realtà africana da tutti conosciuta. Belle le descrizioni di questa terra che sempre affascina, con i suoi colori, i profumi, i suoni, i silenzi: sensazioni spesso indescrivibili. In questo Le Clézio riesce benissimo, ma il libro, a mio avviso manca di continuità narrativa e, spesso, si è portati alla distrazione perdendo il filo del racconto. Se all’inizio si presentava piacevole, a poco a poco perde il suo fascino risultando alquanto deludente.
Recensioni
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Le Clézio racconta il proprio padre come racconterebbe una delle sue storie. Medico coloniale immune agli ideali colonialisti, l'uomo, nato a Mauritius, passò gran parte della sua vita nelle colonie africane e rimase isolato dai familiari a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Il figlio ebbe occasione di conoscerlo all'età di otto anni, in Africa. Le Clézio, che in Africa non è nato, ma vi è stato concepito, abbraccia la concezione della vita che inizia, appunto, dal concepimento, e vede nel continente la propria origine profonda, tanto più che la posizione di outsider del padre risparmiava al figlio la necessità di stabilire un rapporto gerarchico tra l'esperienza europea e quella africana (nigeriana in particolare). Tuttavia, il giovane Le Clézio si trovò, suo malgrado, in un contesto straniante, il che porta il maturo narratore, che rievoca quell'esperienza infantile, a un resoconto entusiasta ed estetizzato dell'Africa. Insomma, Le Clézio sembra salvare del colonialismo soltanto l'aspetto stilisticamente suggestivo e letterariamente più efficace: lo slancio verso un cuore di tenebra che si confonde con la vita intima e le pulsioni primordiali di ciascuno. Le foto scattate proprio da questo padre africano arricchiscono il libro. L'edizione italiana è comunque degna di nota, anche perché costituisce il risultato delle fatiche di quattordici traduttori in erba che si sono occupati dell'opera di Le Clézio nel corso di un master in traduzione editoriale. Questo tipo di pubblicazioni è encomiabile perché costituisce per i traduttori il coronamento del proprio lavoro, per gli editori la pubblicazione di un lavoro di qualità a prezzi contenuti, e per i lettori la possibilità di avvicinarsi a opere letterarie di primo piano che escono in edizione economica già alla loro prima comparsa in Italia.
Paola Ghinelli
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