L'ultima opera di Luca De Risi – un poema in tre movimenti – segna l'evoluzione di una densa ricerca poetica nata da osservazioni e riflessioni sul rapporto tra mondo naturale e soggettività umana, incentrandosi, sin dall'inizio, sul rapporto tra parola, silenzio, ascolto e scrittura. Non a caso, in appendice, il lavoro si chiude con una ballata dedicata al mitologico Minotauro – ibrido uomo/animale – affascinante figura iscritta per sempre nella relazione del vivente tra le – qui non più irriducibili – polarità di natura e cultura. A partire dai versi d'apertura – virtù sola/la necessità/ di infinito – “L'acqua bassa delle rive” vive di chiari richiami semantici a figure della più colta tradizione letteraria italiana. Come una fragile barca di carta che sogna di navigare nonostante la paura dell'acqua, con studiata delicatezza il poeta ci immette in un mondo acqueo dei primordi in trasformazione – è l'acqua bassa delle rive che scioglie e sconfina la pietra / che calcifica l'onda / e la trasmuta – territorio che insiste sul confine tra acqua, terra e cielo. La costante presenza della soggettività narrante del poeta, mai del tutto scissa dal corpo fisico (la caviglia, il piede, la gamba), ci accompagna nell'esplorazione della riva di questa ancestrale ‘Pangea' con la sua abbondanza creaturale – in piccole polle subacquee / di sabbia fluorescente / tra radici di mangrovia /come limo sottile / brulica planctonica la vita – in un susseguirsi di osservazioni e riflessioni scandite dall'incalzare ed il ritrarsi dei moti marini. Il “limine” montaliano – che qui diventa vera e propria poetica del confine – viene declinato in una vasta gamma di registri e di immagini: limite, bordo, linea, margine, orlo, sono figure che via via acquisiscono una dimensione sociologica, la quale si presta efficacemente al tentativo dell'autore di creare un'innovativa fusione tra linguaggio scientifico e poetico, all'insegna di quella leggerezza auspicata da Calvino per il Ventunesimo secolo. Più ermetica e sofferta, la seconda parte “Indizi” s'intreccia alla prima – quasi senza soluzione di continuità – tramite l'evocazione degli oggetti e della strumentazione di bordo (le cime, gli ormeggi, il fasciame) atti alla navigazione: armamentario che non può mancare a chi, come Luca De Risi, è tentato dall'avventura consapevole nell'oceanico mare della Vita. Del resto, mai senza sforzo né senza pericolo, il poeta, talora, cerca una riva per “tir[are] in secca / le [sue] parole” sotto il peso del suo avanzare. Non è mancanza di coraggio, ma urgenza, bisogno: la necessità di tornare all'ascolto di un ristoratore silenzio in cui le parole, lentamente, affiorano – nell'alba dei loro significati – rispondendo a un richiamo che, sprofondato, ne invoca il loro ritorno. Se “ogni arrivo è un ritornare” la parola poetica di Luca De Risi approda e getta l'ancora nel mare semantico del simbolo e torna a modulare una canto ininterrotto. La loro – quella della parola e del poeta – è innanzi tutto una natura musicale. Dal mare dell'essere al radicamento esistenziale, nella terza parte – “Fioriture” – l'attenzione si posa su quella materialità creazionale che vive nel miracolo di ogni fiorire. Gigli, papaveri, rose, lavanda – vere e proprie gemmazioni di un antico linguaggio esoterico riportano alla coscienza del poeta il suo legame a invisibili radici nella ricerca, costante, di un'operosità sensoriale che sola può dare frutto.
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