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recensione di Valabrega, G., L'Indice 1994, n.10
Per cercare di valutare adeguatamente gli obiettivi e il significato di questo volume - la storia del palestinese Abu Nidal, divenuto un terribile terrorista che, a capo della sua struttura organizzata, ha scelto come proprio principale nemico l'Olp, Arafat in testa - pare opportuno, per prima cosa, ricordare chi ne è l'autore.
Giornalista e storico, Patrick Seale è stato per molti anni corrispondente dal Vicino Oriente per testate quali l'"Observer", l'"Economist" e il "Financial Times". Contemporaneamente ha scritto vari libri sulle vicende del mondo arabo contemporaneo: tra essi "Assad. The struggle for the Middle East", la biografia dell'attuale presidente Siriano e, precedentemente, "The struggle for Syria", un'analisi sul periodo 1945-58, pubblicata nel '65 sotto gli auspici del Royal Institute of International Affairs, un'opera per la quale anche molti studiosi italiani gli sono debitori. E anche quest'ultima indagine, quantunque l'argomento sia truculento e apparentemente più che altro adatto alla cronaca nera, risulta scrupolosa, ponderata e attendibile. Vale a dire che Seale segue con occhio disincantato, gli aspetti violenti e criminali dell'attività di Abu Nidal e del suo gruppo; del pari, è impegnato a inquadrare da esperto il fenomeno nella dinamica vicino-orientale, a spiegare, cioè, come esso sia inestricabilmente connesso con la condizione complessiva di scontri, tensioni, repressioni e illegalità che ha portato un giovane esasperato a divenire un terrorista sempre più lontano dalle iniziali motivazioni e a trasformarsi in un agente pagato e in un ricattatore in grande stile.
Con stile vivace, dai tagli rapidi e avvincenti, il libro è comunque impegnato a seguire diversi percorsi. Indicheremo sommariamente quelli che ci paiono i principali. In primo luogo vi sono le vicende di Abu Nidal (soprannome di Sabri al Banna, nato a Giaffa nel 1937 in una famiglia benestante), travolto come tanti palestinesi dall'espulsione del 1948, il quale peregrina in vari paesi arabi, approda nel 1967 in al Fatah e, divenuto rappresentante a Baghdad, rompe ben presto con il movimento di Arafat. Secondo aspetto di rilievo le vicissitudini dei movimenti palestinesi: l'Olp con al Fatah e le altre correnti, le scissioni e le polemiche, l'aspirazione a individuare una linea capace di dare risultati alla lotta. In questo contesto emerge pure la tendenza al proliferare di spinte estremistiche che criticano l'Olp per la presunta irrisolutezza, l'attendismo, la ricerca di intesa con gli stati arabi ecc. V'è poi, in terzo luogo, una serie di approfondimenti sul raggruppamento specifico di Abu Nidal, vale a dire su al Fatah-Consiglio rivoluzionario su come è organizzato e come funziona, sui suoi dirigenti, sugli avvicendamenti, le espulsioni e gli abbandoni, sulle azioni compiute e sulle loro modalità. Come quarto filone su cui Seale ha lavorato segnalerei le mosse e le reazioni dei paesi arabi che talvolta si avvalgono delle capacità di funzionamento di Abu Nidal e dei suoi, talaltra, in polemica con l'Olp, si accontentano di offrirgli protezione, oppure ancora - come è avvenuto anche per alcuni paesi europei - lo pagano affinché non metta in atto gli attentati che con estrema serietà va minacciando.
Infine, ma in verità si tratta del problema più rilevante, lungo tutta l'opera Seale cerca di rintracciare e individuare le collusioni tra Abu Nidal e i servizi spionistici israeliani, a partire da congetture e confidenze per arrivare a elencare coincidenze, fatti e prove. Elemento fondamentale dell'intesa oggettiva sarebbe il comune interesse a colpire gli elementi più responsabili dell'Olp, quelli più impegnati in un azione costruttiva: gli israeliani per evitare di trovarsi obbligati a scendere a compromessi, Abu Nidal perché li considera i peggiori traditori: "che gli israeliani lo abbiano o no strumentalizzato - e gli indizi suggeriscono che è un'ipotesi plausibile - essi hanno certamente tratto vantaggio dai suoi attacchi contro i moderati dell'Olp e non hanno fatto nulla per fermarlo, nonostante le sue violenze anche contro obiettivi ebraici e israeliani".
Senza soffermarsi sui singoli episodi, talvolta molto significativi nel suffragare tale tesi, Seale sviluppa alcune serie argomentazioni sulle quali, in conclusione, sembra opportuno richiamare l'attenzione: individua svariati dirigenti e qualche manovale di al Fatah-Consiglio rivoluzionario più o meno direttamente collegati con il Mossad israeliano (cfr. cap. X); sottolinea l'asprezza dei metodi usati dai corpi speciali di Tel Aviv, in qualche caso, come quello dell'Iran del 1950, contro obiettivi ebraici, un'asprezza consonante con quella dei terroristi 'tout court'; reca la testimonianza di molti protagonisti e di altri autori, come l'ex agente del Mossad Victor Ostrovsky, autore del libro "By way of deception*, per illustrare la logica degli attentati e dei controattentati. (Ma altri autori ancora potrebbero confermare queste tesi; ad esempio nel recente volume dell'ex diplomatico israeliano Dan Vittorio Segre, "Il poligono mediorientale", Il Mulino, 1994, a p. 191 si legge: "il ferimento dell'ambasciatore israeliano a Londra, il 3 giugno, per mano di sicari di Abu Nidal, interessato a provocare un conflitto fra l'Olp e Israele per indebolire Arafat, forn al governo di Gerusalemme il pretesto per invadere, tre giorni dopo, il Libano").
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