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Questo testo presenta una riflessione sulle memorie pubbliche che hanno attraversato lo scenario bellico del 1940-43 e, soprattutto, i contorni della guerra civile del 1943-45. L'ambizione è quella di spiegare le ragioni dell'incompleta affermazione, allora come oggi, di una cultura democratica, cultura i cui confini vanno allargati. A tal fine, la strada individuata condurrebbe alla costruzione di una nuova memoria, "capace di elaborare il lutto del passato senza nulla rimuovere e nulla minimizzare", senza parificare le ragioni dei contendenti, ma "capace di integrare chiunque accetti il risultato conseguito di una democrazia operante".
È in gioco la ricerca di un minimo comune denominatore che potrebbe vedere nel 25 aprile l'atto di (ri)nascita della democrazia. Una simile preoccupazione, in tempi recenti, ha investito le riflessioni di un altro storico, Sergio Luzzatto, il quale nel suo La crisi dell'antifascismo (Einaudi, 2004) ha caldeggiato una via d'uscita "alla logica infernale della vendetta perpetua perpetrata di generazione in generazione", un cammino, suggerisce Paul Ricoeur, che implica una perdita, "una linea sottile tra l'amnesia e il debito infinito".
Il ragionamento storico di Chiarini individua tre tipi di memoria: quella rossa - di marca comunista -, quella grigia della maggioranza silenziosa, e quella nera, nostalgica e, nelle sue frange più estreme, eversiva. La memoria rossa e quella nera sono iperpoliticizzate e prescrittive - hanno quindi confini delineati -, la memoria grigia è invece caratterizzata dal rifiuto dell'impegno politico. Nonostante si ricordi che la memoria è un campo di battaglia dove la contesa è continua, manca un'analisi che ne inquadri l'evoluzione. Nel testo le memorie appaiono sostanzialmente ipostatizzate nel loro affresco originario, lungo il corso del primo decennio repubblicano. Seguire il cammino delle memorie sino ai nostri giorni, avrebbe permesso di valutare con più precisione il quadro storico dal quale prendere le mosse per proporre una nuova memoria del 25 aprile, operazione civica, quest'ultima, e quindi situata al di là dell'ambito storico.
Nessun dubbio sui limiti iniziali della memoria rossa individuati dal testo: l'assolutizzazione della scelta partigiana che esclude tutto ciò che resta fuori, svalutando la Resistenza civile (o chi "semplicemente ha rispettato il comune senso della dignità umana"), dimenticando gli internati militari e i soldati dell'esercito del Sud.
Rispetto alle interessanti scomposizioni offerte a proposito della memoria grigia e nera, l'autore non dedica un'analoga attenzione alla pluralità della memoria resistenziale. Certamente la memoria rossa-comunista assume un peso politico indiscutibile, ma l'antifascismo d'ispirazione azionista ha progressivamente avuto un peso sociale e culturale non trascurabile, influenzando-trasmutando la memoria rossa e dimostrandosi capace di includere nuovi soggetti. Inoltre, non è esistita solo una memoria rossa controllata dal Pci. La crescita di un'altra memoria rossa, delineatasi negli anni sessanta, è stata espressione di un non isolato tentativo di cercare un'altra memoria e ha nel contempo allargato i confini dell'antifascismo.
Le pagine dedicate alla memoria nera si diramano affrontando le diverse variegazioni quasi interamente confluite nel Msi, partito incagliato nella propria memoria e incapace di intercettare i voti della maggioranza silenziosa degli afascisti. Tra il rosso e il nero si insinua la memoria grigia, una fluttuante nebulosa che raccoglie la maggioranza degli italiani: quelli che, contrari all'occupazione nazifascista, non si sono però riconosciuti nel movimento di Resistenza, o, ancora, la zona grigia di coloro che, pur stanchi del fascismo, manifestano una profonda avversione nei confronti dei partiti e di una visione totalizzante della politica. Le maglie larghe e labili delle tante memorie grigie arrivano, in taluni casi, a lambire il fascismo nostalgico.
Se le altre memorie sono state escludenti, quella grigia è stata includente, specie nel taglio minimalista della Dc, attenta a sottolineare il carattere corale (implicitamente depoliticizzato) della Resistenza, leggendo la lotta di liberazione in chiave antitotalitaria, utilizzando gli strumenti istituzionali, il circuito massmediatico e i programmi educativi per la scuola. Nonostante sia stata maggioranza, questa memoria ha avuto un'identità debole e non è riuscita a diffondere una memoria condivisa. In fondo ciò sembra suggerire che le memorie a minimo comune denominatore, per quanto costruite con intelligenza e nobiltà di fini, stentano ad attecchire, soprattutto se restano vive identità e memorie forti e contrapposte che, evidentemente, trovano anche nel presente una ragione per continuare a esistere.
Mirco Dondi
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