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Questo romanzo mi è sembrato più maturo de L'impagliatore, più articolato , ma nello stesso meno digeribile, denso com'è di dettagliate descrizioni dell'atroce modus operandi del killer di turno. Molto accattivante la costruzione dell'intreccio, caratterizzato da un doppio registro temporale, sincronico e diacronico: quello sincronico consente all'autore di illuminare alternativamente diversi personaggi di cui vengono rappresentati azioni e pensieri. La comparsa degli stessi personaggi già interagenti nel romanzo precedente crea inizialmente nel lettore un senso di familiarità, consentendogli di accettare l'impensabile: il complesso, iper-simbolizzato, truce modus operandi del killer la cui identità è inizialmente celata nel mistero. Amaldi e Giuditta sono dei personaggi "vecchi" nel nome, ma nuovi e freschi nella loro psicologia. È così che la dimensione temporale (diacronica) il collocarsi degli eventi in una trama narrativa dicibile si avviano con l'entrata in scena di Amaldi, o meglio con la sua decisione di riprendere in pieno le funzioni inerenti il suo ruolo “istituzionale”, avendo superato quelle antiche ferite che lo rendevano uomo "in bilico", vulnerabile: adesso Amaldi possiede risorse in più: la stabilità degli affetti e la possibilità di usufruire di un contenimento amorevole (attraverso Giuditta) in occasione del riemergere dei suoi turbamenti e del lato oscuro della sua anima. Alla spalle di torbidi personaggi, a fare da sfondo vi è, come nel romanzo precedente, la stessa città portuale fatiscente con i suoi vicoli stretti e maleodoranti, fortemente claustrofobici, al cui interno si muove un'umanità corrotta e meschina. Ma questa volta, in linea con il riscatto di Amaldi, con la sua crescita interiore e il superamento dei suoi traumi, a queste immagini cupe fa da contraltare, la rappresentazione della natura solare e incontaminata che circonda la piccola casa sul mare dove i due vivono relativamente sereni, del semplice lavoro di falegname cui Amaldi si è dedicato, della vigna e dell'orto.
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