Virginia (o: que puis-je faire?)

Nel romanzo di Paolo Maria Rocco ho trovato, insieme ad una qualità pregevole della scrittura, aspetti di notevole interesse e di grande attualità. A cominciare dalla struttura del testo narrativo organizzato in parti che si alternano in continui rimandi tra passato e presente rendendo accattivante e piacevole la lettura, alla storia narrata: quella di una giovane pianista americana che, nella ricerca delle pagine di un antico breviarium musicale attribuito a Guido d'Arezzo, ci fa cogliere il significato di una ricerca interiore che è, anche, affermazione di libertà che riesce a superare le pastoie e le trappole del conformismo che tentano di ingabbiare il Pensiero, di umiliarlo all'interno di un sistema di 'regole' del quale il romanzo svela il fine odioso. È una visione del mondo che l'Autore alimenta non solo ricordandoci alcuni aspetti essenziali della vita, fuori dall'ordinario, di alcuni personaggi che la protagonista incontra durante la sua ricognizione, ma anche attraverso le corrispondenze che vengono fatte emergere -sorprendenti- tra alcuni tratti di queste esistenze e le loro opere, come anche tra i luoghi nei quali si dipana la storia (l'America del Nord e l'Italia), tra gli stati d'animo dei personaggi, e soprattutto sottolineando la funzione della Musica in questo percorso di conoscenza. Con sensibilità e con abilità narrativa l'Autore riesce a costruire un andamento circolare della narrazione che, mi sembra, induce a riflettere sulla complessità della vita troppo spesso, oggi, mortificata da una indotta disattenzione verso l'esercizio quotidiano dell'esperienza. L'azione del porsi al di fuori (ciò a cui Virginia si dispone) di un ordine dettato esclusivamente da un sentimento edulcorato e falso della vita, quanto economicistico, è l' "anomalia" che la società non ammette dentro i propri confini perché ne metterebbe in discussione lo statuto sul quale essa si regge, e che cerca, quindi, di estromettere con violenza.