La lista dei libri scritti da insegnanti che raccontano la loro esperienza è ormai piuttosto lunga. La motivazione a scriverli deriva probabilmente dal bisogno di condividere le proprie frustrazioni (ma anche le proprie soddisfazioni), di rompere quel sentimento di isolamento che si insinua ogni tanto (o spesso) quando ci si chiude la porta alle spalle e ci si ritrova soli di fronte alla classe. All'elenco si sono aggiunti due titoli, Una scuola da rifare di Giuseppe Caliceti e, qualche tempo fa, Tutta colpa dei genitori di Antonella Landi (Mondadori, 2010), diversi tra loro, ma accomunati dall'intento di parlare ai genitori dei propri alunni e di riflettere sul rapporto difficile tra scuola e famiglia. Caliceti è un maestro e la sua "lettera ai genitori" ha un carattere decisamente politico di accusa alla classe politica degli ultimi decenni e, soprattutto, alla politica dei governi di centrodestra. Molte critiche sono condivisibili, altre meno. Tra queste la decisa avversità per le procedure di valutazione delle scuole, degli insegnanti e degli apprendimenti, l'insofferenza verso le ricerche tipo Pisa-Ocse che vengono sbrigativamente liquidate come ispirate dagli interessi del capitale. Ma queste sono differenze di opinione, dalle parole di Caliceti appare chiara la passione civile con la quale fa il suo lavoro. È il tipo di insegnante che ogni genitore si augura possa capitare ai suoi figli. Non orientato politicamente, o forse orientato in una direzione diversa, il libro di Landi. Mentre Caliceti parla ai genitori dei mali della scuola, Landi parla ai genitori (e forse anche ai colleghi) dei guasti che possono provocare ai loro figli e figlie. Lo fa con ironia e mano leggera anche quando i giudizi sono pesanti. Tutti sono comunque d'accordo che l'ideale sarebbe una "santa alleanza" tra genitori e insegnanti, un'alleanza la cui rilevanza dovrebbe comunque gradualmente ridursi lungo l'arco dalla scuola dell'infanzia all'università. Dosare il "giusto rapporto" sembra tuttavia difficile. I genitori sono o troppo presenti o troppo assenti. Sono troppo presenti quelli che vedono negli insegnanti degli istitutori dei figli al proprio servizio, tendono a essere invadenti e, soprattutto se laureati e benestanti, pretendono di insegnare agli insegnanti come devono insegnare ai propri figli. Sono troppo assenti, al contrario, quelli che delegano tutto agli insegnanti, che affidano alla scuola i figli perché vengano custoditi, accuditi, istruiti e, possibilmente, anche educati. In un caso e nell'altro la scuola ha il compito di difendere gli alunni dall'influenza potenzialmente perniciosa della famiglia, di compensarne gli eccessi e le carenze. I genitori collaborativi, non troppo invadenti e presenti in misura e modi adeguati sembrano essere piuttosto rari. Nel rapporto scuola-famiglia si intrecciano diverse dimensioni. Una prima dimensione è di tipo squisitamente "sociale". Gli insegnanti soffrono della sindrome che i sociologi chiamano "incongruenza di status": hanno un livello di istruzione elevato (sono oggi tutti laureati), ma come prestigio e, soprattutto, come reddito si collocano a un livello medio-basso. La nuova borghesia rampante, tanti soldi e poca cultura, guarda spesso agli insegnanti come a dei "falliti", per i quali aver studiato non è servito a salire nella scala che conta, quella del denaro. Al polo opposto, per i genitori degli strati più bassi, la distanza resta comunque abissale, sono portatori di una cultura che, con tutta la buona volontà, gli insegnanti non riusciranno mai a capire fino in fondo. Da quando Marzio Barbagli e Marcello Dei hanno scritto Le vestali della classe media sono passati più di quarant'anni, ma la collocazione sociale degli insegnanti non è cambiata di molto. Una seconda dimensione ha connotati "ideologici". Vi è una categoria di genitori per i quali i figli sono loro "proprietà" e gli insegnanti ricevono da loro il mandato di educarli e formarli in base a valori, principi e norme che devono essere quelli e quelle della famiglia. Questa ideologia proprietaria è alla base della rivendicazione del diritto di scegliere la scuola e della preferenza per il mercato, dove poter comprare il servizio scolastico che meglio rispecchia i valori della famiglia. A questa concezione si contrappone l'idea di scuola pubblica che ritiene proprio compito tutelare i futuri cittadini in modo che possano crescere liberi di scegliere se seguire o meno la traiettoria prescritta dalla famiglia. Una terza dimensione, più "culturale" (in senso antropologico), riguarda il "mammismo". Spesso, infatti, i genitori si riducono alle sole "mamme" perché, almeno nel modello tradizionale, che pure almeno in parte tiene ancora, nella divisione del lavoro familiare i padri sono largamente esentati dall'occuparsi di scuola. Nella scuola si confrontano, talvolta si scontrano, due modelli femminili. La maestra-professoressa, che è riuscita a conquistare una, sia pure non eccelsa, posizione nel mondo delle professioni, e la donna-madre-moglie, che a un certo punto ha dovuto/voluto scegliere di rinunciare a una realizzazione personale extradomestica. Di fronte all'insegnante la donna-moglie-madre si appella alla solidarietà della figura omologa ("Lei mi capisce
anche lei è una mamma") e così lo studente, o la studentessa, rischia di crescere in un duplice abbraccio materno che potrebbe anche diventare soffocante. Alessandro Cavalli
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